Tuesday 7 July 2009

IL BISOGNO DI RICORDARE SERGIO ATZENI

Un jour d'août 2005 à Firenze, j'ai acheté (presque par hasard: j'ai demandé conseil au libraire…) un hebdomadaire, Diario, et je suis tombé sur un article parlant d'un écrivain qui avait déjà quitté ce monde depuis près de 10 ans: Sergio Atzeni!
Cet article m'avait vraiment frappé mais j'avais hésité à lire ses livres: mon italien n'est quand même pas parfait et je ne voulais pas en lire une traduction. Mais, après avoir lu d'autres articles online sur lui, entre autre IL BISOGNO DI RICORDARE SERGIO ATZENI, je m'y suis mis… et je ne peux que vous conseiller de faire comme moi. Vous verrez quelle Italie me fait tant rêver.
Dal romanzo Il quinto passo è l’addio, proponiamo la lettura del primo capitolo:
Ruggero Gunale esiliandosi dalla città e discutendo con se stesso di principi morali ha una visione mistica.
Bocca aperta alle mosche, Ruggero Gunale guarda con occhi umidi e impietriti la città che si allontana: la croce d’oro sulla cupola della cattedrale e attorno a corona digradando i palazzi color catarro dei nobili ispanici decaduti, circondati da bastioni pietrosi invalicabili a piede d’uomo, dove pendono chiome di capperi al vento, di un verde che ride.
Guarda i quartieri moderni fuori le mura scendere dai colli al mare oleoso e verde cupo, i bei palazzi e portici dei tempi di Baccaredda (scrittore e sindaco, amato e carogna) e il lascito architettonico di quest’epoca ai futuri: il cubo luttuoso e vitreo che nasconde i vicoli del porto e offende il municipio bianco e danzante cui si è affiancato con protervia da funzionario viceregio d’altri tempi (non è escluso che i futuri decidano di amarlo e cantarlo… o lo smonteranno vetrata per vetrata e lo sposteranno in campagna oltre Palli e invece delle nere geometrie che spengono la luce e l’allegria vedranno panchine, fontane, palme e jacarandas?).
Ruggero Gunale guarda la città che si allontana. Saluta torri pisane e campanili. Sillaba a se stesso: “La mitezza non incute rispetto né suscita vero compatimento. Anzi: godono a schiacciarti.”
Con gli occhi della memoria vola per i vicoli del paese dove ha vissuto gli ultimi tre anni, gli pare di udire il ronzio di un calabrone in un pomeriggio silenzioso e di vedere i muri bianchi di calce ogni tanto incavati in portali neri o marroni, muri senza finestre, per proteggere gli abitanti dall’occhio sbavante dell’invidioso e da quello maligno della strega che passano per strada.
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